Il terremoto del Belice del 1968

Uno dei grandi traumi della Sicilia, il terribile terremoto che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 seminò morte e distruzione tra i paesi della Valle del Belice.

Il terremoto del BELICE DEL 1968

Il terremoto del Belìce del 1968 fu un violento evento sismico, di magnitudo 6,4, che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 colpì una vasta area della Sicilia occidentale, la Valle del Belìce, compresa tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo.

La prima scossa fu avvertita alle 13:28 del 14 gennaio. Poi ne arrivò una seconda e più tardi una terza. Tra spavento e agitazione tanta gente si riversò sulle strade e molti decisero di passare la notte all’aperto o in rifugi di fortuna. La terra tornò a tremare con una violenza devastante alle 2:33 e alle 3:01 del 15 gennaio. Epicentro del terremoto era l’area tra Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago. Ma le scosse furono avvertite fino a Palermo.  Il Belice subì una ferita profonda che ancora oggi non si è completamente rimarginata.

 

I pochi muri ancora rimasti in piedi crollarono completamente in seguito alla fortissima scossa avvenuta il 25 gennaio, alle ore 10:56. Dopo questa ultima scossa le autorità proibirono anche l’ingresso nelle rovine dei paesi di Gibellina, Montevago e Salaparuta.

Complessivamente, furono registrate strumentalmente 345 scosse, con 81 di queste con magnitudo pari o superiore a 3 tra il 14 gennaio e il 1º settembre 1968.

 

 

Danni e vittime del terremoto del 1968

Tra i 14 centri colpiti dal sisma del Belice vi furono paesi che rimasero completamente distrutti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago. I paesi di Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa, Partanna e Salemi ebbero dall’80 al 70% di edifici distrutti o danneggiati gravemente. Altri paesi che hanno subito danni ingenti sono: Calatafimi Segesta, Camporeale, Castellammare del Golfo, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Menfi, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Vita.

I primi soccorsi giunti in prossimità dell’epicentro, approssimativamente posto tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, trovarono le strade quasi risucchiate dalla terra. In conseguenza di ciò molti collegamenti con i paesi colpiti erano ancora impossibili ventiquattro ore dopo il violento sisma.

 

 

 

Oltre 300 furono le vittime, circa 1.000 i feriti e 100.000 gli sfollati.

Ci furono vittime anche tra i soccorritori: 5 agenti di polizia il 15 gennaio e 2 agenti morirono successivamente nella scossa del 25 gennaio, con un carabiniere e 4 vigili del fuoco.

Le vittime potevano essere di più di fronte alla terrificante ondata di scosse che in un baleno cancellò interi paesi della Valle del Belice.

 


 I soccorsi verso la Valle del Belice, 1968

Opere di ricostruzione

Un mese dopo il terremoto del Belice, nella provincia di Trapani 9.000 senza tetto erano ricoverati in edifici pubblici, 6.000 in tendopoli, 3.200 in tende sparse e 5.000 in carri ferroviari, mentre 10.000 persone erano emigrate in altre province. Gli abitanti vissero per mesi nelle tendopoli e poi per anni nelle baraccopoli. Nel 1973 i baraccati erano 48.182, nel 1976 erano ancora 47.000. Le ultime 250 baracche con i tetti in eternit furono smontate solo nel 2006.

Il terremoto del 1968 mise in luce subito le carenze di un Paese che non era preparato per l’emergenza ma neanche per gestire la ricostruzione.

 La ferrovia Salaparuta-Castelvetrano, che collegava la maggior parte dei centri dell’area terremotata con la zona costiera, non venne mai più ricostruita, nonostante avesse un buon traffico viaggiatori. Venne finanziata e costruita l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo.

I tardivi stanziamenti economici per la ricostruzione diedero luogo ad opere monumentali, come quelle di Gibellina, città-museo en plein air.

Dopo decenni di interminabili lavori, la valle del Belìce si è lentamente risollevata e gli antichi paesi della valle sono stati in gran parte ricostruiti in luoghi distanti da quelli originari interessati dal terremoto: nuove abitazioni, infrastrutture urbanistiche e stradali hanno riportato condizioni di vivibilità ma hanno anche profondamente modificato il volto di quella parte della Sicilia.

 

 

 

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