Un terremoto non finisce mai dopo la scossa, quello è solo l’inizio di uno sconvolgimento che troppo spesso dura troppo tempo; la vita di intere comunità viene travolta e la tragedia umana che ne consegue non si esaurisce con la conta dei feriti, delle persone scomparse e dei danni. A tutto questo si aggiunge lo sfregio di ciò che invece sarebbe evitabilissimo: i ritardi nei soccorsi e dei sostegni alla popolazione, la mancanza di ricostruzione efficaci, la burocrazia asfissiante che impedisce una ripartenza veloce, … . Ed è in queste occasioni che il valore inestimabile della solidarietà si manifesta in tutta la sua potenza, e attutisce il dolore per quanto accaduto e allieva la fatica di chi deve trovare la forza per ricominciare. L’ing. Fabio Bolognesi, che in ISAAC si occupa dello sviluppo della tecnologia I-Pro 1, è stato uno di questi volontari; dopo il terremoto de L’Aquila del 2009 ha deciso infatti di dare il suo contributo partecipando attivamente come volontario presso il campo Caritas di Pile in provincia de L’Aquila tra il 2010 e il 2011. A seguire vi proponiamo il racconto della sua esperienza.
- Perché hai deciso di diventare volontario nelle zone terremotate de L’Aquila?
Ho deciso di partire alla volta de L’Aquila come volontario perché, come credo tutti noi, ero rimasto molto colpito da tutto quello che era successo, ed ho provato profonda empatia per la popolazione. Ho pensato che fosse giusto non solo fare qualcosa, ma anche mettermi a disposizione per supportarle umanamente, essere lì al loro fianco, ascoltarle e fare tutto ciò che potesse farle sentire meglio. Una mia amica era già stata precedentemente in Abruzzo dopo il terremoto, e non ci ha messo molto a convincermi ad andare con lei.
- Puoi raccontarci di più del progetto di volontariato? Da chi era organizzato?
Ho svolto volontariato nel Campo Caritas di Pile, AQ. Il Campo dava la possibilità a chiunque (senza quindi la necessità di far parte del corpo dell’esercito, vigili del fuoco, protezione civile o associazioni di volontariato) di fornire supporto alla popolazione colpita dal terremoto per il ritorno ad una normalità. Il Campo era gestito da Don Marco, parroco della chiesta di Sant’Antonio, e da altri volontari con esperienza pregressa in “Operazione Mato Grosso”.
- Come ne sei venuto a conoscenza del Campo Caritas di Pile e del loro progetto?
Ho cercato fin da subito se ci fosse la possibilità anche per i civili di dare una mano in prima persona. Purtroppo, tutto ciò che avevo individuato nel primo periodo richiedeva la iscrizione ad associazioni volontarie. Ho conosciuto quindi il Campo Caritas di Pile tramite un’amica, che era già stata a L’Aquila un come volontaria un paio di mesi prima, e che a sua volta aveva conosciuto il progetto tramite l’oratorio del paese. Possiamo dire quindi che l’arma vincente nel mio caso è stato il passaparola.
- Quali sono le attività che hai svolto? Come veniva organizzato il lavoro?
Le attività che svolgevamo erano complementari alle attività di vigili del fuoco e protezione civile. Non avendo la formazione, l’esperienza ed i mezzi necessari non potevamo fornire supporto nelle aree ancora considerate a rischio. La prima volta che sono stato a L’Aquila fu aprile 2010, giusto un anno dal sisma. Con la “scusa” di effettuare volantinaggio per la fiaccolata in programma il 6 aprile, abbiamo fatto attività di supporto porta a porta. Molta gente si trovava in alloggi momentanei o era rimasta sola. Noi ci rendevamo disponibili per piccoli aiuti (costruire la cuccia del cane, portarlo a spasso, rimettere a posto una staccionata rotta) o anche solo per tenere compagnia ed ascoltare le testimonianze. Altre attività che ho svolto in questa permanenza erano piccole commissioni per le persone e l’accompagnamento di persone inabili. A luglio molte delle attività erano legate alla stagione estiva: aiuto nei centri estivi, taglio dell’erba e sistemazione di un parchetto ormai in preda all’abbandono. Ho anche aiutato in un trasloco reso necessario dalla pericolosità dell’edificio. Anche a dicembre l’attività principale era di supporto alle persone rimaste sole: ho aiutato ad imbiancare, a sistemare casa. Inoltre, essendo i giorni natalizi, svolgevamo anche la funzione di mensa per i meno fortunati. Per i lavori non avevamo “intermediari”, chiunque avesse bisogno poteva contattare direttamente la parrocchia o il campo. Le principali collaborazioni erano con oratori e centri estivi. Per gli altri lavori (sistemazione casa/giardino, traslochi, ecc..) ci muovevamo per conto nostro, andavamo dove ci veniva richiesto aiuto, chiunque fosse.
- Siete stati formati prima di partire? Come?
Le nostre erano attività di supporto che non richiedevano una formazione specifica. L’unica formazione che ci è stata fatta è stata quella riguardante l’organizzazione e le regole di permanenza al campo di volontariato.
- Dove alloggiavate?
Alloggiavamo nei pressi della “chiesa temporanea” allestita vicino alla parrocchia di Sant’Antonio che era stata danneggiata durante il terremoto. Attorno a questa nuova chiesa erano stati installati tendoni militari e containers in cui alloggiavano anche i volontari. Oltre agli alloggi erano presenti la cucina, la mensa, il magazzino e lo spazio ricreativo.
- Quello che hai trovato al tuo arrivo era quello che ti immaginavi?
A L’Aquila ho trovato distruzione, solitudine ed abbandono. Nel centro cittadino erano presenti aree in cui non si poteva avvicinarsi a causa di edifici pericolanti. Purtroppo, la lentezza dei lavori di messa in sicurezza e di restauro erano note a tutti, quindi ero già ben pronto a ciò che poi ho visto con i miei occhi. Nella gente che ho incontrato però non ho visto disperazione e rassegnazione, ma tanta voglia di ripartire e di tornare alla normalità. Al campo ho trovato collaborazione, voglia di rendersi disponibili per aiutare il prossimo o anche solo per fornirgli conforto. Ho trovato tantissimi ragazzi giovani (ma anche persone più adulte) provenienti da tutt’Italia, qualcuno addirittura dall’estero, che avevano deciso di dedicare le loro vacanze al volontariato. Ultimo, ma non ultimo, al campo ho trovato tante amicizie che cerco tutt’ora di coltivare nonostante la lontananza.
- Cosa ti ha insegnato questa esperienza? Cosa ti ha lasciato?
La permanenza a L’Aquila mi ha fatto comprendere la portata devastante che un terremoto può avere sulla vita delle persone. Chiunque abbia perso una persona, la casa o un oggetto caro è stato privato di qualcosa su cui faceva affidamento e che dava per scontato. Le persone che ho incontrato mi hanno insegnato che, per quanto la sorte possa essere avversa, ci si può rialzare e non bisogna essere restii nel chiedere aiuto al prossimo. Dal campo sono tornato sicuramente più disponibile ad ascoltare, supportare, condividere ed aiutare. L’aver visto così tanta gente disposta ad aiutare il prossimo mi ha fatto tornare con una visione più positiva e fiduciosa verso ciò che ci accade intorno.
- Un consiglio a chi volesse un giorno fare la stessa cosa?
È un’esperienza che vale la pena fare, qualsiasi sia l’età, sesso, condizione sociale ecc. Non è importante avere capacità straordinarie, il contributo di ognuno può essere fondamentale per qualcun altro. L’importante è buttarsi senza pensarci molto, essere propositivi e proporsi anche per attività in cui non si è “ferratissimi”. Sicuramente è anche un’occasione di apprendimento e miglioramento personale. Oltre al lavoro ci sono stati molti momenti di condivisione, di ascolto, di gioco e di festa che indubbiamente portano ad allargare lo sguardo oltre all’abituale e a conoscere nuove realtà e situazioni attraverso le persone che si incontrano.Si, un terremoto non finisce mai dopo la scossa, ed è confortante per tutti noi sapere che ci sarà sempre qualcuno disposto a mettersi in gioco per ripartire. Grazie Fabio per averci raccontato la tua esperienza.